Portare ed essere portato: un modo di crescere insieme

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Nel mese di ottobre si è celebrata la Settimana Internazionale del Babywearing dal tema A world of possibilities (un mondo di opportunità). Il babywearing, in italiano letteralmente “portando i bambini”, è una pratica antica e comune a diverse culture, che da circa trent’anni sta riconquistando l’Europa e gli Stati Uniti.

Il portare è prima di tutto una pratica di cura e di accudimento, nata agli inizi della storia umana per permettere ai cuccioli di donna il contatto necessario per la loro sopravvivenza. È una modalità di relazione che permette di rispondere in maniera efficace e quotidiana ai bisogni di contatto, contenimento e comunicazione dei più piccoli ma configura anche come un mezzo comodo e pratico di stare con loro e di trasportarli. Le diverse comunità culturali hanno sviluppato varie modalità che consentono alle madri di portare comodamente il bambino sempre con sé: sulla schiena o sul fianco, in stoffe, pelli, reti o qualunque altro materiale preso da ciò che offre l’ambiente e la cultura.

In questo modo il bambino gode dell’esperienza fortemente rassicurante del contatto con la madre e rivive in parte le condizioni della vita uterina, quali il dondolio, la comunicazione speciale con lei, le numerose sensazioni tattili e cinestetiche. È un’esperienza che permette al piccolo di costruirsi basi solide sia per la fiducia in se stesso, sia per la le successive conquiste di indipendenza. La madre, a sua volta, offre sicurezza al proprio figlio impara a riconoscere le emozioni e a rispondervi tempestivamente. Oggi sono numerosi i riscontri medici e psicologici che confermano come questa pratica contribuisca al benessere dei bambini.

Negli ultimi anni si sta assistendo alla progressiva riscoperta del portare anche in Italia, come del resto dell’Europa e dei paesi più industrializzati. Un numero sempre crescente di genitori, sceglie di portare i suoi piccoli e di prendersi cura di loro anche in questo modo. Si utilizzano diversi supporti più o meno strutturati: fasce lunghe, mei tai, fasce corte o ad anelli. Spesso i genitori si avvicinano a questa pratica perché sono alla ricerca di un modo comodo e sicuro di trasportare i bambini e di far fronte con maggiore facilità alla fatica quotidiana di conciliare le esigenze proprie con quelle dei piccoli. In un secondo momento, “portando” e imparando a farlo, coprono che proprio attraverso questo semplice gesto riescono a prendersi cura del loro neonato in modo davvero soddisfacente per entrambi. Si instaura un circolo virtuoso: i bambini portati sono più sereni e piangono meno perché soddisfatti e ascoltati profondamente; allo stesso tempo anche la mamma si rasserena perché il benessere del piccolo le conferma di essere una “mamma sufficientemente buona”, capace di ascoltarlo.

Proporre il portare ai neo genitori anche nel nostro contesto culturale, si rivela un’occasione preziosa per accompagnare piccoli e grandi nella loro avventura di crescere insieme: si parla di un oggetto, di una pratica che presuppone una tecnica particolare, ma si apre lo sguardo e il pensiero sulla relazione.

A cura di Gruppo Meno 9+1, Cooperativa Focus, Milano

L’articolo è tratto dalla rivista “il quaderno Montessori”, n. 112 dell’inverno 2011/2012.